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C'è un momento in cui, per ciascuno di noi, gli oggetti cessano di essere tali e si fanno cose, cioè entità e sostanza di fatti e vicende che raccontano la costruzione della propria vita e che anzi, nell'erigere, nel formare il destino, nel dare significato al mondo, giungono ad essere esse stesse esistenza, eventi tracciabili e riconoscibili del nostro dire, espressioni efficaci della nostra identità e del nostro quotidiano. Quel momento, infatti, si ha (ed è) quando gli «oggetti» invecchiano col tempo e, un po' per volta, si consumano insieme a noi; è anche quando ciascuno torna con la memoria a ricordare le ore delle favole e dei racconti, il giusto o l'ingiusto, la polvere lasciata transitare nel collo della clessidra e il pari o dispari degli amori. Il passaggio verso le «cose», allora, è il momento in cui ogni frazione si ricompone nel suo intero e ogni parte torna a farsi necessaria al suo tutto, perché se gli «oggetti» hanno l'ombra della sosta e della monotonia, le «cose» hanno, per noi, la luce che compie e il chiaro che illumina.